In Italia, non solo il settore privata sta trovando sempre più difficoltà nel reclutare il personale necessario, ma anche quello non profit e delle amministrazioni pubbliche. Secondo Unioncamere-Anpal, le professioni più difficili da trovare sono quelle di dirigenti, operai specializzati e tecnici, ma anche figure come educatori, assistenti sociali e pedagogisti sono state menzionate come difficili da trovare.

Uno studio dell’Inapp ha rilevato che ci sono solo 87.673 educatori professionali nel Terzo Settore, che rappresenta solo il 24% della forza lavoro. Tuttavia, non ci sono dati disponibili per gli educatori del settore pubblico, risulta perciò difficile fare un’analisi della reale situazione.

La mancanza di educatori sta creando difficoltà per le organizzazioni non profit e le amministrazioni pubbliche, rendendo difficile garantire i servizi educativi richiesti. Questo ha un impatto sulla qualità e sulla capacità di fornire servizi a utenti come minori, anziani, famiglie, senza dimora, richiedenti asilo e rifugiati, detenuti e persone con disabilità, dipendenze e problemi di salute mentale.

Le cause della difficile situazione nella ricerca di educatori professionali sono molteplici e includono contratti precari e salari bassi, soprattutto per i laureati, condizioni di lavoro stressanti, turni massacranti e pagamenti in ritardo dei salari. La pandemia ha ulteriormente complicato la situazione, spingendo molti educatori a passare alla scuola pubblica. Inoltre, sembra essere venuto meno il senso di missione o di avanguardia che ha spesso caratterizzato questo ambito in passato.

Tra i molteplici problemi, il Terzo Settore deve anche affrontare una certa narrativa negativa su due fronti: l’equazione tra solidarietà e aiuto ai furbi rischia di svilire il vero scopo dell’assistenza a chi è in reale difficoltà e alcuni e rari casi di corruzione che influiscono negativamente sulla percezione che tutti noi abbiamo del settore nel suo insieme. 

Le enormi problematicità descritte possono avere conseguenze disastrose, tra cui la chiusura delle comunità di accoglienza, la scomparsa dei servizi e la perdita dei posti di lavoro per coloro che li gestiscono.